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Le studentesse e le madri che si prostituivano a Torino in cambio di crack

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Una studentessa di psicologia che incontra i clienti dall’alba al tramonto. La barista che arriva dal lavoro. E un alloggio di via Urbino a Torino in cui si prostituivano in cambio di crack. La madre di una bambina dice che non può quella sera, «sono con mia figlia». E poi richiama dopo dieci minuti: «Posso stare mezz’ora». Il business era in mano a Monique, una donna transgender. Le cui telefonate hanno consentito alla pubblica ministera Chiara Maina di risalire alla catena dello spaccio. Alla fine tra gli imputati finiscono i due complici di Monique, spiega l’edizione torinese di Repubblica. Condannati con il rito abbreviato a due anni e otto mesi di reclusione e 3 mila euro di multa. Altri due vengono assolti, mentre gli spacciatori se la cavano con oltre un anno di galera.

La casa si trovava al numero civico 33. Tutti si drogavano, anche gli spacciatori. C’erano le “ordinazioni” di «una magra, favolosa, fisico da capogiro. Ma vuole 30 euro. Cosa le dico?». E se era in crisi d’astinenza valeva ancora meno. Un rapporto sessuale scendeva fino a 20. Mentre di norma la tariffa era di 50. «Prima lo facevo, prima potevo fumare», rivela una studentessa. «Ho conosciuto almeno dieci ragazze che si prostituiscono per Monique. È una prostituzione strana, nel senso che non c’è mai un’entrata di soldi. Il denaro che la ragazza guadagna viene subito investito nel crack che si fuma. Stavo a casa di Monique anche per quattro giorni di fila e avevo rapporti con 30 o 40 clienti al giorno. Tutto il denaro me lo fumavo subito. Tutto in crack».

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