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Stretta sugli algoritmi e stop ai contratti da finti autonomi: cosa prevede la direttiva sui rider approvata dal Parlamento Ue

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Da Strasburgo – Dopo un iter legislativo durato tre lunghi anni, il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sui lavoratori delle piattaforme digitali, un provvedimento nato nel 2021 per disciplinare un settore che in Europa conta quasi 30 milioni di lavoratori. Sono due i punti essenziali della direttiva. Il primo riguarda il corretto inquadramento del rapporto di lavoro, così da favorire la firma di contratti a rapporto subordinato e non – come accade ancora spesso – con contratti atipici. Il secondo pilastro del nuovo provvedimento europeo ha a che fare con gli algoritmi e il loro uso per monitorare in modo automatizzato le prestazioni dei lavoratori. «È stato un negoziato durissimo, per usare un eufemismo», ha detto l’eurodeputata del Pd Elisabetta Gualmini, relatrice della direttiva, poco prima del voto in Aula.

Un percorso a ostacoli

La proposta della Commissione europea di una direttiva per i lavoratori delle piattaforme digitali risale al 2021. Il primo accordo raggiunto dalle istituzioni europee è arrivato a dicembre del 2023, ma il negoziato ha subito una battuta d’arresto quando una minoranza di blocco – composta da Francia, Germania, Estonia e Grecia – si è astenuta. Lo stop all’iter legislativo ha suscitato una dura reazione da parte del Parlamento europeo, che ha accusato i governi in questione di aver ceduto alle strategie aggressive di lobbying messe in campo dai colossi della Gig Economy e dalle piattaforme di food delivery. Grecia ed Estonia, alla fine hanno cambiato idea, lasciando solo Parigi e Berlino nel blocco dei Paesi contrari. Lo scorso marzo, le istituzioni europee hanno raggiunto così l’accordo su una nuova versione della direttiva, la stessa che oggi è stata approvata in via definitiva dall’Eurocamera. A questo punto, manca solo l’adozione formale da parte del Consiglio. Dopodiché, una volta entrata in vigore, gli Stati membri avranno due anni di tempo per recepire le nuove regole nel proprio ordinamento.

Cosa prevede la direttiva

La Commissione europea stima che siano oltre 28 milioni le persone che lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali nei Paesi Ue. Negli scorsi anni, il settore della gig economy è finito sotto i riflettori per le condizioni di lavoro precarie, se non al limite dello sfruttamento, in particolare nel settore del food delivery. Da qui, dunque, la decisione di intervenire con una regolamentazione più rigida. In primo luogo, su come vanno inquadrati i lavoratori. La proposta originale della direttiva Ue prevedeva una serie di criteri fissati dalla Commissione europea, così da garantire uniformità. La versione definitiva del provvedimento delega invece questo compito agli Stati membri. La novità più rilevante riguarda però l’inversione dell’onere della prova. In altre parole, non sarà più il lavoratore a dover dimostrare se è da inquadrare come autonomo o dipendente, bensì l’azienda.

La stretta sugli algoritmi

L’altro pilastro della direttiva approvata oggi a Strasburgo riguarda la gestione algoritmica sul posto di lavoro. Il provvedimento prevede infatti che i lavoratori siano informati a dovere sull’uso di sistemi di monitoraggio se questi impattano la loro assunzione, le loro condizioni di lavoro o il loro stipendio. Questi sistemi non potranno inoltre essere utilizzati per il trattamento di dati personali sensibili, come i dati biometrici o quelli relativi allo stato emotivo o psicologico dei lavoratori.

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