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Borse, intimo, pranzi, hotel e ciglia finte: le spese della suocera e della moglie di Soumahoro con i soldi delle coop

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Liliane Murekatete e Marie Therese Mukamatsindo, rispettivamente moglie e suocera dell’onorevole Aboubakar Soumahoro, hanno messo in piedi «una struttura delinquenziale a livello familiare». Per questo il Gip di Latina Giuseppe Molfese ha disposto per loro gli arresti domiciliari. Le due donne sono indagati insieme agli altri figli di Mukamatsindo, Richard Mutangana – per il quale è stato disposto l’obbligo di dimora – e Michel Rukundo. La Guardia di Finanza ha sequestrato beni e conti correnti per un valore di due milioni di euro. E mentre le loro cooperative sono in liquidazione, emergono «spese per finalità private» pari a 370 mila euro in due anni. Tra queste acquisti in boutique di lusso, hotel a 5 stelle, gioiellerie, viaggi, duty free e ristoranti di pesce.

I soldi

Nell’ordinanza, scrive il Fatto Quotidiano, si racconta che in un’occasione Murekatete ha speso 80 euro in un centro estetico per le extention alle ciglia. Il deputato in un’intervista a Piazzapulita rispose alle polemiche sulle spese della moglie parlando di «diritto all’eleganza». Ma soprattutto: altri 470 mila euro sono invece finiti in Rwanda, sui conti di Mutangana. Che con i soldi ha aperto un ristorante: “Gusto italiano”. Nella lista dei pagamenti che va dal febbraio 2017 al luglio 2019 gli inquirenti inseriscono spese da Gucci, Ferragamo, Elena Mirò e ben 700 euro in un negozio Intimissimi di Latina. Il pagamento più alto è di 2.804 euro per Vanden Borre a Bruxelles. La Verità spiega che gli importi dello shopping sono stati così quantificati dagli investigatori: 93.976,99 euro nel 2017; 208.394,92 euro nel 2018; 49.946,48 euro nel 2019; 13.803,40 euro nel 2020; e 2.177,16 euro nel 2021. Per un totale complessivo di 368.398,95 euro.

L’ordinanza

Nell’ordinanza di 152 pagine il Gip scrive che talvolta le carte indicavano come utilizzatore un dipendente della Karibu. Ma in realtà i reali beneficiari erano altri. Le spese sono indicate minuziosamente: 1.990 euro da Salvatore Ferragamo a Roma, 323 euro da Gucci ad Amsterdam, più di 2 mila euro da Cannella. Ci sono spese per cosmetici, estetica e solarium. Altri 1.500 euro partono per borse da Prima Classe Alviero Martini. Una commessa di Elena Mirò, «negozio di abbigliamento di media-alta qualità e per taglie comode», annota il gip, ha riferito «di ricordare» come cliente «una donna di colore e dalla corporatura formosa». Mentre nei dati informatici dell’azienda Marie Therese è risultata «censita quale cliente dell’attività dal 2012». Ma i conti più alti li hanno al Monaco Coffee di Kigali in Rwanda. 1.139 e 762 euro. 500 euro invece è il conto del ristorante Porticciolo di Fiumicino.

Gli hotel di lusso

Poi ci sono i soggiorni all’estero. Il Serena hotel di Rubavu (Rwanda) con piscina per 2.140 euro nel 2017, il Pentahotel di Bruxelles, con 1.173 euro spesi nel 2018. E poi il Villa in the sky, sempre a Bruxelles, per 805 euro, e il famoso Hotel L’Adresse di Parigi, attaccato a Champs Elysées per 933 euro nel 2019. La novità del filone d’indagine, in attesa dell’udienza preliminare di venerdì 3 novembre, è il ruolo di Murekatete nella vicenda. La moglie di Soumahoro secondo i pm «si affiancata e ha sostituito la madre nei principali atti gestionali». La donna «era attivamente coinvolta nella gestione della cooperativa, svolgendone effettive attività di direzione e controllo (…) tanto da assumere determinazioni finalizzate ad orientare l’attività dell’impresa». Il giudice cita un incontro con il sindaco di Milano Giuseppe Sala (smentito dall’interessato) e uno con il deputato europeo Pd Pierfrancesco Majorino.

Il sistema fraudolento

Il Gip racconta di «un collaudato sistema fraudolento fondato sull’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti e altri costi inesistenti». Adoperati dalla Karibu nelle dichiarazioni dal 2015 al 2019, «non solo con la specifica finalità evasiva ma, altresì, per giustificare, in sede di rendicontazione, la richiesta di finanziamenti alla Direzione Centrale del sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati». Per il giudice le «condotte risultano volontarie e consapevolmente mirate ad un risparmio di spesa (e successiva distrazione) dei fondi pubblici percepiti. Il dato oggettivo e contabile, non superabile, è che buona parte del denaro ricevuto non è stato adoperato per le finalità preposte, questo alla luce delle documentate distrazioni (di cui in seguito) ma, anche e soprattutto, per la carenza dei servizi offerti».

Alloggi fatiscenti

Intanto i migranti delle cooperative Karibu, Consorzio Aid Italia e la Jambo Africa vivevano in «soprannumero di ospiti, alloggi fatiscenti con arredamento inadeguato, condizioni igieniche carenti, derattizzazione e deblattizzazione assenti, riscaldamento assente o comunque non adeguato, carenze nell’erogazione dell’acqua calda, carenze nella conservazione delle carni, insufficienza e scarsa qualità del cibo, presenza di umidità e muffa nelle strutture, carenze del servizio di pulizia dei locali e dei servizi igienici, insufficiente consegna di vestiario e prodotti per l’igiene». Il tutto serviva a risparmiare.

Derattizzazione e deblattizzazione assenti

La procura spiega le vicende riguardanti i Cas di Aprilia (Via Lipari), di Latina (Hotel de la Ville Central) e di Maenza (Casal dei Lupi) gestiti dalla Karibu, e quelle dei Cas di Latina (Via Romagnoli e Via del Pioppeto) gestiti da Consorzio Aid: «L’inosservanza delle condizioni pattuite, rilevate dagli ispettori della Prefettura oltre a quelli della Asl di Latina e ai vigili del fuoco, tali da far vivere gli ospiti in condizioni offensive dei diritti e della dignità degli uomini e delle donne, aggravate dalla condizione di particolare vulnerabilità dei migranti richiedenti protezione internazionale, ha generato considerevoli risparmi di spesa/profitti».

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