«Ho detto basta e ho denunciato il posto in cui lavoravo perché lavoravo in nero». È Emma Ruzzon, la presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Padova, con un messaggio pubblicato su Instagram ad attirare l’attenzione su un fenomeno diffuso nel nostro Paese e che molto spesso i giovani incontrano facendo i primi lavori ancora minorenni. La ragazza, divenuta famosa per il suo discorso sui suicidi degli studenti all’inaugurazione dell’801esimo anno accademico dell’ateneo veneto, ammette di aver avuto paura per l’incertezza legata alla ricerca di un posto di lavoro ma riconosce anche che parla da una situazione privilegiata perché ha avuto la possibilità di aspettare qualche mese prima di scegliere. «Di fatto, ho potuto non cedere al ricatto tra diritti e stipendio. E nel sentirmi privilegiata, ho pensato a quanto fosse assurdo considerare anche questo un privilegio. E ho pensato che forse fosse il caso di parlarne». Ruzzon difende i suoi coetanei e colleghi, i giovani vessati da morali provenienti da altre generazioni che li considerano dei fannulloni e dei pigri che non vogliono lavorare. Ma la ragazza spiega che non è così: «Chi ti serve il caffè, chi ti serve la pizza, chi sposta scatole nei magazzini, sono spessissimo giovani». Ragazzi che lavorano non per mantenersi qualche sfizio o divertirsi nei weekend ma che faticano per mantenere le spese di affitto e il costo del materiale universitario. «A noi lavorare in nero non ci fa assolutamente comodo. Non ci fa comodo non sapere quanto c entrerà ogni mese. Perché i turni possono cambiare, potremmo lavorare di più come potremmo lavorare di meno ed essere lasciati a casa. Non ci fa comodo sapere che se ci ammaliamo resteremo senza stipendio. O sapere che sto versando mezzo contributo per il mio futuro».
La storia di Emma Ruzzon
«Mi hanno offerto un contratto ma quel contratto conteggiava un quinto delle ore in cui effettivamente lavoravo. Un po’ in busta, tutto il resto a nero. O così o niente», racconta della sua esperienza. Ruzzon poi analizza anche le difficoltà che alcuni giovani possono affrontare nel domandarsi se denunciare o meno. Chi denuncia o vorrebbe farlo non sa se troverà un altro posto di lavoro. E, oltre a questo, c’è anche il rischio di essere colpevolizzati: «Viene fatto credere che stiamo rinunciando in partenza e che non sappiamo reggere il colpo sul momento per poi forse trovare qualcosa di migliore». Infine la dichiarazione manifesto: «Questo sistema è malato. E stato normalizzato un ricatto tra l’acere i diritti e avere uno stipendio. Ma se come generazione iniziamo a dire di no forse possiamo inzirae a risolvere questo problema. Chi può denunci. La politica deve prendere atto di questo problema e smetterla di far finta che non esiste. Il lavoro sommerso è un problema».
Leggi anche:
- Cadavere impiccato al guard rail a Trieste, la conferma dell’autopsia: «Nessuna azione di terzi». Com’è morto
- Bologna, tiktoker di 23 anni si suicida in diretta. «Era vittima di cyberbullismo»
- «Volevo solo essere pagata»: 23enne invalida aggredita dall’ex datore di lavoro con calci e pugni
- Il ristorante economico sul mare esiste, è a Cecina e fa menù fisso (di pesce) a 25 euro. Peccato che sia tutto abusivo: chiuso dalla Gdf
- Genova, Mahmoud Abdalla ucciso perché non voleva lavorare in nero: «Sei stato tu a farlo a pezzi»
- Padova, la studentessa del discorso in aula magna: «Umiliati agli esami, schiacciati dalle famiglie. Non si può morire di università» – Il video
L'articolo Emma Ruzzon, la studentessa del discorso sui suicidi all’università: «Ho denunciato il mio datore di lavoro: ero in nero» – Il video proviene da Open.